09.06.2020 – Le 120 giornate e le prove non retribuite.
(a cura di Victor Solaris)

Tra le infinite discussioni sulle riforme strutturali che non possono più aspettare, quando si parla di Enpals ricorre puntualmente anche la proposta che l’ente di previdenza (oggi INPS/FPLS – Fondo Pensioni Lavoratori Spettacolo) riconosca le “giornate di prova” come giornate lavorative, al fine di poter “spalmare” (*) i compensi delle effettive giornate di spettacolo su più giornate per raggiungere il fatidico numero di 2.400 contributi, requisito essenziale per il diritto alla pensione.

Parallelamente e per lo stesso motivo ricorre la proposta che le giornate lavorative per maturare una annualità contributiva vengano abbassate da 120 a 60 o altro ipotetico numero da calcolare sulla media delle prestazioni attualmente rilevate dall’ente.

Per inciso: persino il dott. Ferdinando Montaldi (ex direttore dell’Enpals) ad aprile 2019 in una recente audizione alla Commissione Cultura della Camera ha dichiarato che il numero delle giornate andrebbe abbassato.

(*) A onor del vero, il ricorso allo “spalmo” di cui sopra viene abitualmente effettuato e non risultano verifiche in merito da parte dell’INPS, ma, come vedremo di seguito, è verosimile che sia una operazione border line.

Ebbene, l’intenzione di questo articolo è quello di dimostrare che, quantomeno per coloro che hanno iniziato l’attività dopo il 1 gennaio ‘96, il requisito delle 20 annualità può e deve essere eliminato del tutto!

 

Infatti e purtroppo, per questa fascia di artisti c’è un secondo “paletto” ben più ostacolante: quello sull’importo totale dei contributi versati (montante contributivo), motivo per cui potrebbero non essere sufficienti né il computo delle giornate prova, né l’abbassamento del numero dei contributi.
In poche parole il requisito delle annualità è del tutto inutile!

Altra storia invece potrebbe essere per i musicisti appartenenti al sistema retributivo.
Ma andiamo con ordine e con delle utili premesse, giacché su questa tematica c’è tanta confusione e la stessa Inps non è certo d’aiuto. Provate a leggere qui per rendervene conto.
https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=46855

Tra l’altro, la pagina non è aggiornata dal 2015 !?!

Nota. E’ doveroso premettere che alcune affermazioni che in questo articolo saranno date per scontate non sono scritte da nessuna parte, ma sono ipotesi verosimili basate sulla esperienza cinquantennale dello scrivente.

ALCUNE DELLE ATTUALI REGOLE

COSA S’INTENTE PER ANNO CONTRIBUTIVO?

Per “anno contributivo” si intende ANNUALITA’ e non “anno solare”!
Una annualità è l’insieme di 120 giornate lavorative con regolare contribuzione e, essendo che il primo requisito per il “diritto” alla pensione (quando sarà) è di 20 annualità, facendo una semplice moltiplicazione (20 x 120) è facile realizzare che piuttosto che pensare ai 120 contributi annuali è meglio fare riferimento al fatidico numero di 2.400, che è il risultato della moltiplicazione.

Come dire ancora che per mettere insieme i 2.400 contributi ci si può impiegare l’intero arco della vita lavorativa. O, ancora più semplicemente, se in un anno “solare” non si raggiungono i 120 contributi non è affatto un problema, l’importante è che il totale dia 2.400.

IL “BONUS” DEI CONTRIBUTI D’UFFICIO

Pochi sanno che esiste tutt’ora una sorta di bonus per coloro ai quali, arrivati alla età pensionabile, dovessero mancare dei contributi. Ebbene, solo per questo bonus entra in gioco l’anno solare e non l’annualità.
Il bonus consiste in questo: se in un anno “solare” (appunto) non si raggiungono 120 contributi, ma almeno 60, essi vengono automaticamente integrati a 120.
I contributi d’ufficio vengono accordati per un massimo di dieci anni e non occorre alcuna domanda specifica per l’attribuzione.
Maggiori dettagli alla faq n. 17.

Una particolarità abbastanza rara, ma non impossibile.
Può anche capitare che i 2.400 contributi possano essere messi insieme in pochi anni.

E’ il caso dei musicisti che suonano nei “piano bar” dei grandi alberghi o sulle navi che battono bandiera italiana. Sicuramente questi musicisti non hanno problemi di annualità.


LA DATA DEL 1 GENNAIO 2016 SEGNA UN IMPORTANTE “SPARTIACQUE”

Per un facile prosieguo della lettura è bene sapere che coloro che hanno iniziato una qualsiasi attività lavorativa a partire da tale data appartengono al cd. “contributivo”, che va a sostituire il vecchio sistema, quello “retributivo”

C’è notevole differenza di regole e trattamenti tra i primi e i secondi.
Inoltre, occorre fare attenzione al termine “contributivo” perché potrebbe essere fuorviante. Intatti, entrambi i “sistemi” sono basati sul versamento dei contributi, la differenza sta nel calcolo per l’importo della pensione che ai primi è ottenuto da una complessa media degli stipendi degli ultimi anni di lavoro, mentre per i secondi la futura pensione sarà calcolata su quanto effettivamente versato. Un po’ come nelle pensioni integrative private.
Per altri  dettagli si veda la faq n. 15

COME NASCE IL FATIDICO NUMERO DEI 2400 CONTRIBUTI?
E cosa c’entrano le giornate di prova?

Fino al ’92, per accedere alla pensione di vecchiaia, occorrevano non 20 annualità, ma 15 … e non da 120 giornate ciascuna, ma da 60. In sostanza, il diritto alla pensione (a prescindere dall’importo) si acquisiva in soli 900 contributi nell’arco della intera vita lavorativa.

Detto questo, va da se che, dover “spalmare” una giornata di effettivo spettacolo su più giornate facendo “figurare” le prove non pagate, non solo non era previsto dalle normative Enpals, ma all’epoca non ci pensava proprio nessuno.

Anche quando a fine ‘92, le annualità furono portate a 20 non sarebbe stato un grosso problema se non fosse stato che contestualmente, per “maturare” una annualità, i contributi per ciascuna annualità  furono portati drasticamente da 60 a 120 (D.Lgs n. 503 del 30/12/1992).

Stiamo parlando del 1992 (primo governo Amati) e lo scellerato raddoppio fu votato in Parlamento (… udite udite …) il 30 dicembre ’92, ultimo giorno di “aula”, un giorno frenetico, la vigilia dell’ultimo dell’anno. E’ molto verosimile che a votare siano stati quattro gatti, i quali, più che riflettere su quello che stavano votando, stavano pensando al cenone di San Silvestro, allo spumante, le lenticchie, il panettone, ecc., magari in qualche amena località di villeggiatura !?!

E questo la dice lunga sulla considerazione che il comparto dello Spettacolo ha avuto nel passato ed ha tutt’ora tra i politici!

MA PERCHE’, UN TEMPO, IL REQUISITO DEI CONTRIBUTI ERA SOLO DI 60?

Per capire occorre fare ancora un passo indietro e riflettere sul pensiero (presumibile) del legislatore nel ’47, anno in cui fu istituito l’Enpals.

Anche se non è scritto da nessuna parte, è verosimile che i 60 contributi erano “a misura” delle compagnie di spettacolo viaggiante (avanspettacolo in primis).
Ad avvalorare questa ipotesi vale la pena di ricordare che, per ottenere il  certificato di Agibilità occorreva depositare una cospicua “cauzione”.
Domandiamoci il perché di questo deposito cauzionale.
Evidentemente l’Enpals, a fronte di compagnie spesso in perenne difficoltà economiche, a rischio di scioglimento anticipato e scarsa reperibilità del “capocomico” (l’impresario), semplicemente intendeva cautelarsi dal mancato versamento dei contributi.
Ne consegue quindi che il numero 60 era riferito al numero minimo di spettacoli che si supponeva che una compagnia da giro poteva effettuare in una stagione.
Fantasia? Non credo.

E poi, si ricordi che con 900 contributi si maturava il “diritto” alla pensione, ma l’importo era ed è comunque proporzionale ai contributi versati.

In quanto ai musicisti, viene da pensare che l’attività “saltuaria”, come è oggi in prevalenza, era molto rara, o anche che tale attività era considerata un hobby.
Non entro nel merito dei night club degli anni 50/60 dove, suonando quasi tutte le sere, i 900 contributi si potevano mettere insieme  con molta facilità. I night erano diffusi solo nelle grandi città mentre migliaia erano (e sono) i piccoli teatri e sale cinematografiche diffusi in ogni pur piccolo paese di provincia disponibili ad ospitare le “compagnie di avanspettacolo”.
Con ogni probabilità erano piuttosto i bandisti delle feste patronali del sud ad avere una “stagionalità” simile a quella delle compagnie da giro.
La differenza era unicamente nel periodo.
Per le compagnie di teatro la stagione era da ottobre a primavera, per le bande… l’esatto contrario.

In ogni caso, il legislatore doveva pur prendere una decisione, e “risiedendo a Roma” si basò su quella che era la realtà della Capitale … infatti tutte le compagnie viaggianti dell’epoca e le bande dovevano in ogni caso fare riferimento all’Ufficio Speciale di Collocamento Spettacolo (Roma, piazza Esedra – oggi Piazza della Repubblica) … Ente del tutto inutile cessato nel 2008.

In conclusione, sono convinto che il legislatore optò per la tutela dei più deboli che all’epoca erano appunto quelli delle compagnie viaggianti, dando loro la possibilità di maturare la “pensione di vecchiaia” (seppur di poco superiore alla pensione sociale) anche con anticipo notevole.  Si pensi che le ballerine di fila della rivista di varietà furono di fatto parificate ai danzatori del balletto classico con possibilità di pensione a 45 anni.

In merito poi alla pensione “di poco superiore alla sociale” non dimentichiamoci che il fenomeno era ed è dovuto alla diffusa consuetudine di versare i contributi sul minimale. Un tempo caratteristica delle piccole compagnie di varietà perennemente in difficoltà economiche, ma il contributo doveva (e dovrebbe) essere calcolato sul compenso pieno.

In sostanza. Il vero problema consiste nel numero di 2.400 contributi. Tutto lì.

POCHI PERO’ RIFLETTONO CHE IL NUMERO DEI CONTRIBUTI POTREBBE ESSERE DEL TUTTO AZZERATO, perché, come detto all’inizio, dal 31 dicembre ‘95 c’è un secondo requisito ancora più arduo da superare.
Ed entro nel tema dell’articolo.

Agli appartenenti al sistema contributivo, cioè a quelli (repetita iuvant) che hanno iniziato l’attività lavorativa dal ’96 in poi, è imposto un secondo requisito: la somma totale di quanto versato (il montante), stante le attuali normative, dovrà produrre una pensione di almeno 1,5 volte l’assegno sociale, motivo per cui, con versamenti sul minimale non basterebbero neanche i 2.400 contributi, ma ne occorrerebbero almeno un migliaio di più! Va da se, che il numero dei contributi, almeno loro potrebbe essere eliminato del tutto!
Vale anche la pena di ricordare che questo “paletto” era stato già introdotto nella cd. Riforma Dini (1995), seppur nella misura di 1,2 la pensione sociale e, a dimostrazione della inutilità delle 20 annualità, va ricordato che le annualità (sempre nella medesima riforma) erano state abbassate a 5, ossia 600 giornate lavorative nell’intero arco della vita lavorativa.
NON SE LO RICORDA NESSUNO!
Evidentemente il legislatore, nel’95, aveva capito perfettamente che il secondo paletto, quello sul montante, era più che sufficiente.
Fu con la riforma Fornero (2012) che le annualità furono riportate di nuovo a 20.
Operazione del tutto sprovveduta, ed anche discutibile in quanto alla retroattività.

Altra prova della scarsa considerazione in cui il comparto viene tenuto presso la politica!

NEL SISTEMA RETRIBUTIVO tutto quanto detto finora potrebbe non esser valido.
Per i candidati alla pensione con il sistema retributivo, cioè per coloro che hanno almeno un contributo prima del ‘’96 sussiste ancora la possibilità di andare in pensione con cinque anni di anticipo e quindi, fin tanto che non si riuscirà a far eliminare del tutto il requisito numerico dei contributi, vale la pena di inventarsi tutto il possibile per arrivare ai fatidici 2.400 contributi.

CONCLUSIONE
Vero è che occorre una riforma che metta mano alla questione delle giornate lavorative, ma occorrono serene riflessioni sul come avanzare le proposte al legislatore. Proposte mal fatte potrebbero solo aumentare l’enorme confusione che alberga nel nostro sistema previdenziale.


Caro musicista, sei arrivato fin qui ? … grazie!
Permetti che ti chieda:
“Ma è normale che i lavoratori dello Spettacolo che lavorano TUTTI I GIORNI per prepararsi agli spettacoli, studiare con una alacrità che difficilmente ha pari in altre professioni, vivere nel miraggio di una pensione che non si sa se mai arriverà, ecc., debbano avere l’esistenza sconvolta da cervellotiche norme che non esistono in nessuna altra nazione del Mondo?”
“E’ normale che un Ente, l’Enpals, nato per tutelare una categoria debole, a scarsa capacità contrattuale, ecc., nel tempo sia diventato il principale ostacolo al lavoro degli artisti e alla diffusione della cultura della musica, del teatro, della danza, ecc.?”

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