14 maggio 2016.
Intervista rilasciata da Luca Ruggero Jacovella, pianista e ricercatore indipendente di musicologia applicata, a Fabio Macaluso, avvocato giornalista e scrittore, riconosciuto esperto di diritto d’autore.
Il M° Jacovella, di recente, si sta rivelando uno dei massimi analisti sulle problematiche inerenti l’assenza nel nostro paese del riconoscimento del diritto d’improvvisazione nel jazz e addirittura del diritto di “estemporizzazione”. Quest’ultimo “diritto” rappresenta un’autentica scoperta nel campo di un futuro riassetto del copyright.
Fabio Macaluso è noto in particolare per il libro E MOZART FINI’ IN UNA FOSSA COMUNE. Non è immaginabile un titolo migliore per sintetizzare l’estrema evoluzione del copyright dai tempi più remoti a quelli del riconoscimento universale degli ultimi due secoli (con conseguente forti guadagni per i grandi autori), a quelli di Internet e del facile accesso che rimette tutto in discussione.
SOMMA ARTE, IMPROVVISARE
(dal Blog su l’Espresso: Impronte Digitali di Fabio Macaluso)
La musica è un’arte complessa. Viene in genere pensata dai musicisti seri con attenzione e quindi composta secondo regole condivise. Essa è normalmente riportata su spartiti musicali, la cui prima edizione dovrebbe costituire la novità che viene immessa nel circuito commerciale delle riproduzioni discografiche e delle esecuzioni dei concerti dal vivo.
La musica scritta ha un’importanza eccezionale, costituendo il riferimento che viene offerto ai soggetti che si avvicinano alle composizioni musicali per eseguirle, adattarle, crearne un’opera derivata.
C’è un altro fattore, relativo soprattutto alla musica dal vivo, che è di fatto negletto. Mi riferisco all’improvvisazione, che è una vera e propria opera dell’ingegno che nasce “qui e ora”, ovvero al momento dell’esecuzione dell’opera musicale stessa.
Ne ho parlato una notte col grande chitarrista americano Marc Ribot, dopo un suo concerto a Bari, che mi confessò che nella serata aveva improvvisato per circa la metà dell’esibizione, citando almeno 60 composizioni di altri autori.
L’improvvisazione sfugge a un inquadramento preciso e su questo ho dialogato con il Maestro Luca Ruggero Jacovella, musicista affermato e massimo teorico internazionale del diritto d’autore secondo una prospettiva musicologica.
Maestro Jacovella, sopra ho provato a dare una definizione di improvvisazione musicale. La condivide?
La condivido, perché l’improvvisazione è un atto creativo che sfugge alle regole convenzionali del “ripensamento nelle composizioni”. Difatti, nella composizione puoi anche impiegare un mese per produrre un solo un minuto di musica, mentre nell’improvvisazione non puoi andare oltre quel minuto in cui la musica è eseguita.
L’improvvisazione è dunque afferente esclusivamente alla musica dal vivo oppure no?
Certamente no, perché si verifica anche durante le registrazioni fonografiche in quanto sono parte del processo che formano il “textus” dell’opera. Quest’ultimo è il prodotto finale di elementi musicali precomposti, sezioni improvvisate ed editing creativo di tipo tecnologico.
L’improvvisazione è in genere distinguibile da un ascoltatore medio come un elemento autonomo della composizione musicale?
In effetti non è così semplice. Presupponendo di conoscere il tema originale enunciato – uno standard, una canzone famosa – il materiale sonoro che ne consegue tanto più si discosta dal modello iniziale e da altre improvvisazioni basate sulla medesima fonte, quanto più risulta essere una creazione originale. Così, vi è una chance maggiore che siano distinguibili.
Che cos’è il “vincolo del linguaggio” che riguarda le improvvisazioni?
Le improvvisazioni possono essere libere da ogni schema come è stato con l’esperimento del free jazz, con artisti straordinari come Cecil Taylor, Albert Ayler o Ornette Coleman. Vi è da dire che le relative opere non sono di facile fruibilità, pure da parte della stessa comunità dei musicisti, anche se questo problema di comprensione del linguaggio non ne diminuisce il valore. Ciò detto, nella maggior parte dei casi le improvvisazioni si articolano attraverso un lessico musicale condiviso da una più ampia platea. Esse comportano una sfida difficile: rifarsi alla tradizione, ovvero al linguaggio musicale esistente, senza che però vengano “scimmiottate” le opere precedenti.